Per queste vacanze estive, volendo evitare l’aereo* ed escludendo il mare per motivi che non sto a raccontare, ma facilmente riassumibili nel fatto che detesto andare al mare, le mete papabili rimanevano poche. La scelta si è orientata dunque sulla Slovenia: dopo 2 anni di assenza dalla Polonia, sentivo una certa necessità di slavità, e quando mi sono accorta di riuscire a capire un sito in sloveno (aka Polacco Senza Vocali) ho avuto un buon presentimento.
L’idea generale era la seguente: fare 5 giorni in Slovenia, e al ritorno 2-3 giorni in Italia, con pit stop in alcune di quelle città pazzesche che abbiamo sempre sotto il naso ma che non visitiamo mai perché oh, ci sono i voli Ryan a 14 euro + 700 per il bagaglio a mano, presto, andiamo a Bruxelles! (*ENTERS PANDEMIC*).
Ecco dunque a voi il Grande Itinerario degli Orfani RyanAir, low-cost, low-sbatti e low-assembramenti, uscito dalle nostre menti.
Per navigare più velocemente i contenuti, potete usare i link qui sotto:
- Giorno 1 (sabato): arrivo a Ljubljana
- Giorno 2 (domenica): Bled, Vintgar, Radovljica
- Giorno 3 (lunedì): Ljubljana
- Giorno 4 (martedì): Postojnska Jama (Grotte di Postumia)
- Giorno 5 (mercoledì): Kobarid (Caporetto)
- Giorno 6 (giovedì): Trieste
- Giorno 7 (venerdì): un po’ Trieste, un po’ Padova
- Giorno 8 (sabato): Padova
Giorno 1 (sabato): arrivo a Ljubljana
Dopo una doverosa deviazione alla Pasticceria Veneto di Brescia (il regno di Iginio Massari, ndr), affrontiamo le restanti 4 ore circa di macchina con piglio deciso, fermandoci solo una volta per espletare i bisogni fisiologici. Ci fermiamo di nuovo alla dogana di Gorizia (che è solamente simbolica, perché è stata abolita quando la Slovenia è entrata nella UE), dove aspettiamo di passare il confine per fare il pieno secondo una consolidata abitudine italiana. Dal benzinaio acquistiamo la vignetta (vinjeta) autostradale, un’etichetta che serve per viaggiare sulle autostrade slovene (il cui costo per una settimana è di 15€).
Ad oggi non abbiamo capito come facciano a controllarla, dato che non ci sono caselli: probabilmente si fidano del fatto che tutti la comprino, il che dice molto dello stato di civiltà locale. Per prendere ulteriormente le distanze dalla Repubblica delle Banane, a 10 metri da Gorizia non parlano già più l’italiano, in compenso parlano perfettamente inglese – e anche qui lo spartiacque è ben chiaro. Procediamo dunque verso Ljubljana, dove pranziamo nel primo ristorante indiano che troviamo (scelta sicura se si è in cerca di piatti veg). Qui capiamo che il COVID in Slovenia non è mai esistito, perché le mascherine, così come il green pass, sono un optional assoluto.
Perplessi da questa realtà parallela, prendiamo dunque possesso del nostro appartamentino, che si trova proprio davanti alla cattedrale di Ljubljana. Scopriamo subito che lo scarico del WC fa gli stessi rumori che si sentono nei film di Nolan, che le assi del parquet gridano come i dannati dell’inferno e che disponiamo di un letto antigeriatrico alto 1.30mt da terra. Tutto sommato, però, i 230€ per 5 notti sono un buon compromesso, considerata anche la posizione strategica. La proprietaria poi è gentilissima, e ci spiega come risparmiare sul parcheggio consigliandoci alcuni punti vicino all’appartamento (c’è anche un parcheggio interno gratuito, un po’ caotico ma fattibile).
Liberi dalle valigie, ci dedichiamo a una prima esplorazione della città. Muovendoci un po’ alla membro di segugio, prendiamo confidenza con il centro storico piuttosto contenuto, visitabile, a essere generosi, in un paio d’ore senza entrare in chiese e simili. L’impressione è quella di una Svizzera in miniatura: ordinata, profumata (non solo di cibo, ma anche di fiori e cannella che mi fa venire subito voglia di grzane wino, anche perché fa un gran freddazzo), piena di boutique carine, salici ovunque e una promenade lungo il fiume Ljubljanica vitale e allegra.
Quando incappiamo nel soundcheck di un gruppo ignoto con una sòla di batterista, lo prendiamo come il segno di doverci fermare a bere un vinello: scegliamo VIDA, che propone vini naturali sloveni, italiani e francesi.
Dopo l’aperitivo è l’ora di una doccia; ne approfittiamo per prendere le giacche a vento (indispensabili) e ci rechiamo poi al birrificio della UNION per una cenetta annaffiata di luppolo. È un po’ fuori dal centro, una ventina di minuti a piedi, ma qui si possono assaggiare le nuove birre in anteprima a prezzi che fanno venir voglia di piangere (2,50€/mezzo litro). A menù ci sono paninazzi veraci ma anche piatti vegetariani e vegani. Il birramisù, invece, è un blocco di mascarpone indigeribile, non particolarmente consigliato.
Tutto sommato contenti della prima giornata, torniamo a piedi verso l’appartamento attraversando un paesaggio brutale, nebbioso à la Friedrich, dove però la nebbia è costituita dal fumo delle griglie ancora in funzione, con salsicce che sfrigolano a tutto spiano.
Giorno 2 (domenica): Bled, Vintgar, Radovljica
L’alba del nostro secondo giorno sloveno è una lama che ci perfora le palpebre e ci ricorda la poetica bellezza delle persiane. Facciamo colazione con il burro di arachidi più buono di sempre e un caffè turco in polvere e partiamo di buon’ora per il lago di Bled, a un’ora di strada da Ljubljana. Nell’arco di questi 60 minuti il tempo cambia circa 150 volte: si passa dall’accendere i fendinebbia a tirar giù il finestrino per il caldo, ed è così che funzionerà più o meno sempre. Sull’autostrada, dove ci siamo solo noi e slavi con le mountain bike, mi felicito della mia comprensione dello sloveno, rinominato il Polacco Senza Vocali.
Parcheggiamo proprio sotto al Castello di Bled, dove ci chiedono 3€ per 2 ore di sosta. Scopriremo poi (you don’t say) che a fondo si paga meno: 1^ ora gratis, 2€ per 2 ore. Comunque, dopo aver letto le recensioni su TripAdvisor decidiamo di non voler pagare 10€ solo per ammirare il panorama dall’alto, quindi scendiamo giù lungo il sentierino che arriva al lago: le sneakers qui sono più che sufficienti. La passeggiata di 8 km richiede circa 2 ore fermandosi a fotografare il castello da 863 angolature diverse: i colori sono magnifici, la luce altera in continuazione le prospettive, sembra di stare in un giardino giapponese.
Chi volesse può noleggiare bici o visitare l’isoletta al centro del lago in barca, fare il bagno, prendere il sole: insomma, volendo qui si può passare tranquillamente una giornata intera. Noi però, dopo aver girato il lago, pranziamo in una fantastica burgeria vegana (e non ci facciamo mancare il dolce, con cui ci vendichiamo finalmente del birramisù di ieri) e poi riprendiamo la macchina per dirigerci a Vintgar, distante un quarto d’ora in macchina. Con questo nome dal suono nordico si intende uno dei principali punti naturalistici della zona, un vero paradiso per i fotografi, un’oasi di silenzio con tanto verde sotto forma di boschi e fiumi. Per accedervi bisogna pagare un biglietto di 10€: il prezzo è un po’ esoso, considerato che si tratta di 1,6 km di canyon, ma questa è un po’ la regola non scritta slovena – si paga per TUTTO, e in cambio si ha ordine, bellezza, lusso, calma e voluttà, come diceva il buon Charles.
Usciti dal tornello finale, allunghiamo la strada prendendo il sentiero che attraversa il bosco e sale fino alla chiesa di S. Caterina. Il blu del cielo qui è veramente illegale (FYI secondo il meteo avrebbe dovuto piovere: le previsioni del tempo in Slovenia NON FUNZIONANO). Scendiamo lungo la strada che costeggia la chiesa, attraversando il piccolo paesino di Zasip dove medito di trascorrere la mia vecchiaia, e seguiamo i cartelli fino a tornare, senza imprevisti, a Vintgar. Avevamo lasciato la macchina al primo dei molti parcheggi che ci sono prima delle gole e che costano tutti 5€ (forfait). Il nostro però era più figo** perché era su un colle. (**ad Alfa Romeo non piace questo elemento)
La parcheggiatrice approva la nostra tappa successiva, Radovlijca, dove si trova il museo del panpepato, produzione tipica del luogo. In teoria al museo ti spiegano come viene fatto e ti danno la possibilità di mettere le mani in pasta tu stess*, ma è domenica e non avviene niente di tutto ciò: sui tavoli del “museo” (che altro non è che una cucina) si notano i resti dell’ultimo gruppo di visitatori, mattarelli sporchi, farina ovunque e così via. Tranne mangiare uno strudel eccellente, non troviamo altro da fare e ripieghiamo dunque verso Ljubljana, in anticipo rispetto ai piani e con l’incognita di dove mangiare.
Dopo aver passato un’ora a vagabondare, scoprendo che gli sloveni bevono più spesso di quanto mangino, a giudicare dalla prevalenza di cocktail bar e pub rispetto ai ristoranti, finiamo in uno pseudo giapponese dove si scordano di noi per 40 minuti prima di portarci un donburi di pollo e un ramen vegano. Dignitosi i piatti, ma non validi l’attesa (e neanche la pubblicità da parte mia al locale). Terminiamo dunque con un Irish pub accanto al ponti dei Draghi, dove ci nutriamo di patatine fritte e fastidio per il fatto di non riuscire a capire la lingua parlata dai nostri vicini di tavolo (forse olandese, forse la lingua dei nazgul).
NB: in un posto dove la birra locale costa meno dell’acqua, non conviene bere birra d’importazione, che costa quanto in Italia. Non fate questo errore da principianti!
Giorno 3 (lunedì): Ljubljana
Nel giorno dedicato all’esplorazione più approfondita di Ljubljana mi sveglio varie volte per i canti del Mangiamerda (= il WC che fa i suoni dei film di Nolan) e dormo il mio sonno migliore dalle ore 8:00 alle ore 8:05, in cui sogno di guidare un furgone.
Durante la giornata facciamo alcune cose carine:
- Mangiare un burger vegano da Lars&Sven;
- Vedere il castello, che mi costa tante vertigini e 10€ di ingresso, ma che propone alcuni cimeli (armi e armature), foto e altre informazioni interessanti sull’uso del castello nei diversi periodi storici. Dopo averlo visitato, potete camminare sulle mura oppure scendere di nuovo verso la città: entrambi i percorsi sono molto piacevoli paesaggisticamente parlando, la situa mi ha un po’ ricordato Lucca, ma con un clima più confacente ai miei gusti;
- Fare man bassa di draghi: il drago è il simbolo della città, quindi si trovano souvenir con questa forma ovunque. Per la maggior parte sono sempre la stessa roba fatta in serie, ma ho trovato un bel negozietto con oggettistica più particolare e di qualità realizzata tra l’altro da diversamente abili. Potete quindi riportare souvenir decisamente più carini e sostenere un progetto socialmente utile acquistando da loro: lo shop si chiama SKRBOVIN’CA e si trova a due passi da Tromostovje;
- Visitare il quartiere degli artisti. In realtà si tratta più di un libero stato dei drogati all’interno della città, unico posto dove mi sia sentita poco al sicuro durante la vacanza. I murales e le sculture sono bellissimi da fotografare, ma andateci solo di giorno e se avete qualcuno a farvi da palo per evitare di essere derubati, accoltellati o altre amenità.
Accanto a queste cose interessanti, ne abbiamo fatte anche alcune inutili che riporto per dovere di cronaca e magari evitare ad altri di fare gli stessi errori:
- Visitare Park Tivoli. Non fraintendetemi, il parco è splendido. Ci potete passeggiare, andare a correre, fare un giro in bici; c’è pure un museo, tantissimi alberi diversi da ammirare e un grande roseto. Noi però ci siamo andati mentre pioveva e non è stata un’idea geniale. Assicuratevi di andarci in un giorno di pieno sole e non ve ne pentirete.
- Entrare da Nama, un centro commerciale in pieno stile Rinascente. Se vi piace il genere okay, ma non ci perderei troppo tempo, anche perché ci sono gli stessi marchi, agli stessi prezzi, che trovate in Italia.
- Vedere la Cattedrale. Vi sembrerà strano, ma sono stati i 2€ (a testa) peggio spesi di sempre. Una sola navata, tendenzialmente bruttacchiola, senza molto da offrire. Per riprendermi sono entrata da IKA (in Ciril-Metodov Trg), un negozietto pieno di creazioni artigianali fantasticherrime: ovviamente non ne ho comprata nemmeno mezza perché costava tutto un botto, ma quando diventerò ricca tornerò a farci la spesa. Andate a buttare un occhio!
Giorno 4 (martedì): Postojnska Jama (Grotte di Postumia)
Il 4° giorno partiamo verso le 8 per raggiungere le grotte di Postojna (Postumia per i nostalgici del fascio). Abbiamo prenotato online la visita che partiva alle 10; bisogna essere lì almeno mezz’ora prima, altrimenti si perde l’ingresso e bisogna ripagare per intero il biglietto, che costa 38€ a testa comprensivi della visita del castello di Predjama, ma ci sono anche pack più costosi che comprendono ulteriori attrazioni. Dico subito che il prezzo vale la pena. Un trenino vi fa attraversare 5 degli 8 km di galleria visitabili, poi si procede a piedi seguendo la guida (tassativo indossare un abbigliamento consono a una temperatura di 9°C e possibilmente scarpe da trekking). Il tour può essere fatto in italiano, sloveno, tedesco o inglese; noi avevamo prenotato quello in italiano ma poi ci siamo uniti a quello inglese, preferendo evitare i connazionali (la tizia ai tornelli di ingresso ha annuito comprensiva).
La grotta, calcarea, è stata scavata dal fiume Pivka in migliaia di anni, ma è stata scoperta solo nel 1818 e quasi subito aperta al pubblico, infatti i camminamenti e i tracciati elettrici risalgono a quel periodo. All’interno si possono ammirare enormi stalattiti e stalagmiti, oltre che colonne in cui le prime due si uniscono: una delle colonne più vecchie è datata mezzo milione di anni. Nella grotta c’è anche una sala dall’acustica sublime che infatti viene usata, in occasioni particolari quali Natale e Capodanno, per concerti e altri eventi. Ci sono più di 100 specie animali documentate che vivono nella grotta, ma sono quasi tutte invisibili perché l’adattamento le ha portate a perdere la pigmentazione della pelle e la vista a favore di altri sensi, per cui rifuggono la luce. In un acquario al termine del percorso però si possono ammirare alcune salamandre.
Una volta risaliti in superficie, abbiamo ripreso la macchina per andare a Predjama che è a circa 9 km di distanza. In entrambi i punti bisogna pagare il parcheggio: il solito forfait da 5€, la solita rapina a mano armata. Il castello di Predjama è un’antica roccaforte difensiva contro austriaci, ungheresi e in buona sostanza chiunque passasse di lì a rompere i maroni, ed è scavato direttamente nella roccia: non era il massimo del confort, come si può immaginare, dentro faceva un freddo becco tranne nella stanza con il camino, dove i signori dormivano, ca*avano e ascoltavano la messa.
Adesso il castello è contornato da abetaie, ma un tempo la vallata era brulla per impedire ai nemici di avanzare nascosti dalle fronde. Era un avamposto sicuro al 99,9999%, grazie anche a un tunnel segreto che consentiva di effettuare approvvigionamenti al di là delle linee nemiche e a un collettore d’acqua che evitava il ricorso all’acqua del fiume, facilmente avvelenabile. Peccato solo per un piccolo punto debole che, se distrutto, permetteva un assedio veloce e dolorosissimo (sì, proprio come la Morte Nera): il cesso del signore. E infatti a un certo punto uno stagista malcontento lo riferì agli assediatori, che tosto ne approfittarono.
Tutta la rava e la fava vi viene resa nota tramite una comoda audioguida che potete usare in una fra 20 lingue diverse, la quale vi guida fra le varie stanze, fino all’inizio del passaggio segreto di cui prima (non aperto al pubblico, in quanto visitabile solo con attrezzatura da scalata). Trovo questa modalità di visita molto piacevole, in confronto alla lettura di cartelli di 30 righe stampati in Arial 10 con interlinea 1, quindi per me il prezzo di tutta la visita era assolutamente giustificabile.
Fuori dal castello trovate vari punti di ristoro, ma noi abbiamo preferito una location un po’ più defilata e meno acchiappaturisti (Okrepčevalnica Prepih), qualche km più in là. Una sorta di baita del CAI, con un cameriere che probabilmente devolve il suo intero stipendio a ripagare i bicchieri che lui stesso frantuma. Abbiamo speso 22€ per 1 piatto di čevapčiči, 1 piatto di formaggio e zucchine grigliate, 1 insalatona mista, 2 acque e 2 caffè: porzioni abbondanti e piatti sinceri.
Al ritorno, invece, ci siamo fermati a un centro commerciale (Citypark), che menziono più che altro per chi pratica trekking: l’offerta di abbigliamento e attrezzatura tecnica qui è veramente sterminata.
Tornati a Ljubljana, dopo aver osservato con le mani dietro la schiena una sciura fallire nella missione di fare manovra nel parcheggio angusto dell’hotel, siamo incappati nella banda cittadina proponeva rivisitazioni di pezzi come Gangnam Style e Back in Black senza soluzione di continuità, bevuto un gin e infine cenato da Abi Falafel. Oltre al falafel, questo piccolo ristorantino offre tantissimi piatti mediorientali, sia veg che non. Tutto commoventemente buono, ma la baklava trasudava proprio dannazione eterna. Tra l’altro è stato l’unico posto dove ci abbiano chiesto il green pass. Spesa: circa 25 euro in due, e siamo usciti barcollando.
Giorno 5 (mercoledì): Kobarid (Caporetto)
Oggi decidiamo di muoverci a 2 ore di strada da Ljubljana per visitare Kobarid – Caporetto, per i nostalgici.
Dopo un caffè di rinforzo nella piazza centrale del paese, si parte per un percorso di circa 7,5 km che sale su verso il sacrario italiano della 1^ Guerra Mondiale, dove troviamo, con sorpresa, nomi di bisnonni propri e altrui. Dopo questa fermata, prendiamo il sentiero che, dalle spalle del sacrario, attraversa il bosco e arriva alla Soča (l’Isonzo): strada blandamente escursionistica, alla portata di tutti, eccezion fatta per il ponte sulla Soča che traballa come un tappeto elastico e non è il massimo della vita se soffrite di vertigini. Dopo il ponte potete proseguire a sinistra verso le cascate (Slap Kozaj) oppure scendere al fiume: noi abbiamo fatto entrambe le cose, ma i 5€ a testa per vedere le cascate sono un’altra rapina a mano armata (ma poi perché sempre cinque euro per tutto, c’è una ragione cabalistica dietro?).
Sulla via del ritorno abbiamo preso il sentiero verso l’alto per vedere le trincee, ma sfortunatamente era interrotto quindi abbiamo dovuto fare dietrofront. Arrivati nuovamente alla Soča, abbiamo preso a sinistra in direzione opposta alle cascate per tornare verso Kobarid, chiudendo così il nostro percorso ad anello. I paesaggi che vedrete in questi chilometri sono qualcosa di pazzesco, e tutto è ben segnalato: amici liguri in ascolto, imparate dai colleghi sloveni.
Dopo un pranzo veloce siamo andati al Kobarijski Muzej, purtroppo visitato più in fretta di quanto avremmo voluto: abbiamo fatto l’errore di fidarci delle molte recensioni online che ne parlavano negativamente, ma noi l’abbiamo trovato ricchissimo di documenti preziosi, specialmente fotografici, sulla Grande Guerra. Le foto dal fronte sono uniche, personalmente avrei passato ore a guardare ogni dettaglio. Tanti anche i reperti bellici, e c’è poi un’intera sezione del museo in cui si tratteggia la storia della città dalla fondazione pre-cristiana fino ai tempi dell’Unione Europea, attraverso le varie dominazioni subite. All’inizio del museo invece si può guardare un documentario sulla Grande Guerra che presenta gli eventi in maniera molto imparziale e scevra da ogni celebrazione guerresca. In sostanza è un posto in cui vorrei tornare, così come nella valle dell’Isonzo in genere, per un percorso storico e naturalistico più completo. A Kobarid, oltre a parlare benissimo inglese così come nel resto della Slovenia, parlano anche italiano quindi zero sbatti per tutti.
Per l’ultima sera slovena abbiamo scelto Monstera Bistro a Ljubljana: da fuori un locale qualsiasi, dentro invece regala cucina sperimentale molto creativa, con ingredienti locali e staff supergiovane. Bisogna prenotare in anticipo, il menù serale comprende 7 portate che su richiesta vengono personalizzate sulle esigenze del cliente (allergie, restrizioni alimentari) ed è possibile richiedere un percorso di abbinamento con i vini: ricordatevi però di fermare il cameriere, a un certo punto, perché 7 vini si accusano, anche se biologici.
La serata, infatti, si è conclusa con me che sperimentavo un intero catalogo di metodi per far passare il singhiozzo.
Giorno 6 (giovedì): Trieste
Dopo una colazione a base di hangover, caffè (da Stow To Go) e brioche ultraburrose (da Mdlinar), e dopo aver italianamente fatto rifornimento di gasolio low cost, salutiamo i civili sloveni e torniamo fra le bestie italiche. La nostra prima tappa sulla via del ritorno è Trieste e il trauma culturale è forte, dopo 5 giorni che a parere di entrambi sono sembrati molti di più – non perché ci siamo annoiati, tutt’altro: il tempo sembrava semplicemente fluire a un ritmo diverso, placido e pieno. Qui, a confronto, sembra di aver messo il piede sull’acceleratore: tutto è frenetico, rumoroso, villano, sporco. Le cartacce e i mozziconi di sigaretta per terra, l’assenza di raccolta differenziata, le macchine che non si fermano alle strisce e i pedoni che si buttano in mezzo alla strada senza guardare ci ricordano il significato peggiore della parola “Italia” e ci fanno rimpiangere la dittatura slovena dei velocipedi.
Trieste si rivela subito città ricca di sensi unici e povera di parcheggi. Vinta la battaglia del posteggio ci avventuriamo verso il centro per un pranzo da Genuino, gettonatissimo fra studenti, lavoratori e sciure col cagnolino. Il mio corpo ringrazia per la verdura e mi segue docile fra le vie della città. Un po’ a casaccio – con le piante romane è tendenzialmente semplice imboccare la strada giusta – si riescono a condensare in un paio d’ore le attrazioni principali, tutte vicine fra loro:
- il Castello di S. Giusto, con il lapidario romano e la mostra di armi dal Medioevo all’800: l’allestimento museale è francamente carente, soprattutto per l’ingiustificabile mancata traduzione di molti contenuti in una qualsiasi altra lingua – considerata la posizione di Trieste, lo trovo un deficit molto grossolano. Tuttavia l’esposizione è interessante e il costo di ingresso contenuto (5€ a testa – aridaje);
- la Cattedrale di San Giusto (ingresso gratuito), di cui mi hanno colpito particolarmente la pianta con 5 navate, nata dall’unione delle due chiese preesistenti, e la volta della navata centrale;
- l’arco Riccardo, il punto in cui passavano le processioni in epoca romana;
- l’anfiteatro romano, ammirabile solo dall’esterno.
Di Trieste mi sono piaciute in particolare le viuzze piene di boutique e negozietti, le librerie che propongono tanti autori “di confine”, il lungomare ventoso e il tramonto rosato. Il vento costante, poi, rende il caldo decisamente sopportabile. Ad avere più tempo avremmo visitato il Museo di Arte Orientale (che ospita L’onda di Hokusai) e il castello di Miramare, costruito a picco sul mare, ma con una media di 15-20km al giorno in salita i ginocchi cominciavano ad alzare bandiera bianca.
Per la cena abbiamo scelto l’Hops Beerstrò, che reinterpreta alcuni famosi piatti etnici come falafel, pad thai e poké. Nonostante gli eccessi della cena precedente, non potevamo esimerci da un bicchiere di sour ale locale.
Giorno 7 (venerdì): un po’ Trieste, un po’ Padova
Prima di ripartire verso l’ultima tappa del nostro viaggio, ci spostiamo a qualche chilometro dal centro di Trieste per una tappa necessaria: la Risiera di San Sabba.
La Risiera di San Sabba è l’unico lager nazista superstite d’Italia. Si portavano qui soprattutto prigionieri politici italiani, croati e sloveni, che venivano destinati al lavoro coatto o, più di frequente, uccisi con gassazione o mazzate nella nuca, meno spesso fucilazione. Le eliminazioni venivano tenute il più possibile nascoste o con la musica o con l’abbaiare di cani aizzati all’uopo. Al centro del cortile, dove adesso si erge una stele commemorativa, si trovava il forno crematorio poi smantellato in fretta e furia dai nazisti in seguito alla Liberazione.
Le celle, costruite dai prigionieri stessi, ospitavano coloro i quali si erano macchiati dei crimini “peggiori” contro il Reich: erano larghe 1.2mt e alte 2, erano occupate anche da 6 persone contemporaneamente, talvolta per diversi mesi. L’altra classe di prigionieri della Risiera erano gli ebrei, che da qui transitavano verso i campi di sterminio in Germania e Polonia, ma anche Austria.
Il complesso museale conserva parte della struttura originaria e presenta la storia della Risiera all’interno di un allestimento ben fatto, tradotto in più lingue e corredato di cimeli e videotestimonianze dei sopravvissuti. Il museo è gratuito, ma potete – e dovreste – fare una donazione alla fine del percorso.
Da qui noi abbiamo preso infine la via di Padova, l’ultima tappa del nostro viaggio. Il centro di Padova è piccolo e si visita da parte a parte in un paio d’ore. I portici, le architetture scaligere e i fiori decorativi sono le cifre principali del centro storico, molto affollato a ogni ora del giorno tranne durante gli orari di pausa dei negozi. Al di là delle note catene internazionali vi si trovano anche piccole boutique locali e bancarelle di libri usati. Il mio consiglio è quello di lasciar camminare le gambe in base a quello che vi comandano gli occhi, fermandovi di tanto in tanto per uno spritz. Venendo dal centro e camminando in direzione della stazione, appena dopo la Cappella degli Scrovegni c’è un parco ben illuminato e ricco di vita anche di sera dove potete fermarvi a mangiare o semplicemente bere un cocktail.
Giorno 8 (sabato): Padova
L’ultima mattina l’abbiamo dedicata al complesso museale della cappella degli Scrovegni, meta assolutamente immancabile se visitate questa città per la prima volta. Alla cappella si accede con un biglietto (14€) che comprende anche l’attiguo museo degli Eremitani, ma l’accesso alla cappella va prenotato con largo anticipo (noi lo abbiamo fatto 3 settimane prima) perché gli ingressi sono limitati per evitare il danneggiamento degli affreschi. Questi sono la grande attrattiva della cappella: dipinti da Giotto, rappresentano scene bibliche e personificazioni di vizi e virtù, con tecniche di grande avanguardia per l’epoca. Un bel video di circa 10 minuti vi presenta i dettagli più salienti prima dell’ingresso; la visita vera e propria dura poi 15 minuti: uno potrebbe perdere ore a guardare ogni singolo quadro, ma tutto è appunto temporizzato a tutela degli affreschi.
Dopo essere usciti dalla cappella (o prima di entrarvi) potete dedicarvi al museo degli Eremitani. Andando abbastanza veloci, lo si visita in un’oretta e mezzo, ma dipende da come siete abituati a interagire con esposizioni di questo tipo – molto ricche ed eterogenee come ogni collezione privata. Ci sono sia reperti etruschi, egizi e di era precristiana, sia una pinacoteca con dipinti di carattere sacro insieme a paesaggi risalenti soprattutto al 6-700. Io ho apprezzato soprattutto la parte con i manufatti di epoca romana. Sono rimasta invece sbalordita dall’incapacità dello staff del museo di comunicare in qualsiasi altra lingua rispetto all’italiano: in un museo del genere, in una città UNESCO, le scene penose a cui ho assistito non si dovrebbero verificare. Non è che se ripetete la stessa cosa LENTAMENTE, ma sempre in italiano, a un turista olandese, lui magicamente vi capisce.
Prima di ripartire per casa, con pausa pranzo alla Tap Room del birrificio CRAK (oltre alle birre come sempre favolose, anche il cibo è davvero degno di nota), abbiamo fatto un ultimissimo giro per Padova fino alla basilica di S. Antonio, che si trova a due passi da Prato della Valle, una piazza particolarissima per la presenza, appunto, di un immenso prato contornato da bianche statue di santi e ponticelli sull’acqua. Punto consigliato anche per un semplice déjeuner sur l’herbe.
Il nostro viaggio giunge così al termine. Ecco un piccolo riassunto:
Notti: 7
Periodo: fine agosto/inizio settembre
Costo totale a testa, comprensivo di pernottamenti, 3 pasti/die & shopping: ca. 600€
Tipo alloggi: appartamento (Slovenia), residence (Italia)
Tipo visite: musei, percorsi naturalistici
Pro: panorami favolosi, tante possibilità di arricchimento culturale, apertura agli stranieri (Slovenia), clima ottimo, cura del verde e del pubblico decoro (Slovenia)
Contro: costo elevato di parcheggi e punti naturalistici (Slovenia), impreparazione linguistica e incuria generale (Italia)
Tutte le foto © Francesca Mondani 2021
Scattate con Canon EOS 5D Mark III + Sigma 50mm f/2.8 Macro
*Mando un caloroso saluto a Mohamed Z dell’assistenza clienti RyanAir, il quale ha chiuso la finestra della nostra chat subito dopo avermi inviato il link di un modulo da compilare per ottenere il rimborso di un voucher da circa 200€ mai utilizzato. Il modulo non funzionava, Mohamed. Te possino.
Laureata magistrale in Lingua e cultura italiane per stranieri all’università di Bologna, insegno lingue straniere nella scuola secondaria, ma ho lavorato per diversi anni nel settore del web marketing. Sogno una casa in collina e un cuoco giapponese privato. Amo i gatti, soprattutto quelli sfigatelli, e le Guzzi.