Ssangyong Actyon secondo Francesca Mondani
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SsangYong Actyon: dove osano i Klingon

SUV, crossover, citycar, roadster, coupé: nella selva automobilistica moderna, la gara a chi propone il faro con più LED, il paraurti più spigoloso, i touchscreen più megainterfacciati e iperconnessi del globo non ha un attimo di requie e non fa prigionieri. Ma sul terreno ricoperto dai cadaveri trasudanti olio dei molti caduti in battaglia, c’è anche chi incrocia le ruote sul petto di metallo e osa dire no.
No alle calandre ispirate a ghepardi delle nevi o ad organi umani.
No alle pippe mentali sui materiali fonoassorbenti dentro alla carrozzeria.
No anche al fibrorinforzato, ai vetri panoramici, al pulsante della modalità Eco di cui tutti si sbattono il cazzo, come testimoniato dal cielo in scala di grigi della tecnologizzatissima Milano.
No a tutti i presupposti e i preconcetti del design, insomma.

Torniamo alla materia cruda, al cuore pulsante della prima e più importante delle invenzioni umane: la ruota. E fermiamoci lì.

È con questo urlo di petto che nel 2005 la Ssangyong Actyon ha introdotto il suo sgradito e sgraziato muso da Klingon nel mondo dell’auto. Un Klingon antipico, perché ha rinunciato alla guerra, ma ugualmente fiera di sé e granitica nelle sue convinzioni.
Quel granitico che si fonda sulla risoluzione definitiva di ogni possibile turbamento d’animo, come quei “sono grassa e me ne vanto” delle ciccione che, dopo 13 anni di crudeli prese in giro da parte dei compagni di classe in tutti gli ordini scolastici, hanno deciso di accettare i Ferrero Rocher come una parte costitutiva del proprio essere e fasciare l’adipe in eccesso in corpetti ricolmi di paillettes, noncuranti dell’evidente discrepanza con l’effetto finale dell’abitino sul manichino in negozio.
La Actyon è un’auto che nemmeno l’ufficio marketing di Ssangyong sapeva come promuovere, come testimoniato da questo ameno volantino:

Ssangyong Actyon 2006

Come interpretare questa immagine? Vi sottopongo tre opzioni, scegliete democraticamente quella che pensate si avvicini maggiormente alla verità.

  1. Il muso fa schifo, ma ti promettiamo che con il lato B ci siamo impegnati di più;
  2. Se ti avanzano le brugole del Billy dell’Ikea prova a infilarle qua dietro e vedi se la situazione migliora;
  3. Gira la ruota, vedrai che ti esce 100 (con i soldi che vinci poi ti ci puoi comprare un’altra macchina).

Disgustato, anche il passeggero virtuale si rivolta all’obbrobrio che si trova a guidare e cerca disperato in ogni direzione qualcosa che lo convinca a rimanere a bordo. Indica incredulo tutto ciò che vede, vomita da ogni orifizio mentre l’occhio sardonico della Actyon ne monitora le convulsioni dal centro dello sterzo.

Ssangyong Actyon 2006 interni

Pensate che lavoro ingrato, fare la hostess di fiera per questa macchina. Dover sorridere, smaialarsi sul cofano con l’attitudine da gheparda ingrifata come se ci si stesse rotolando su una testosteronica Maserati. Senza mai guardare sotto di sé per evitare di farsi cogliere dai conati di vomito. Dall’horror vacui.

Che pena fare la hostess per la Ssangyong Actyon!

Eppure, io la Actyon la apprezzo.
La apprezzo per la sua capacità di andare controcorrente, di portare avanti a testa alta l’ideale del “non è bello ciò che è bello ma è bello ciò che piace”.
Un po’ No Global, un po’ banlieue.
Con quei baffi da pescegatto e quella voglia di vivere più forte di ogni considerazione estetica.
Un vero monito alla resistenza, al coraggio, alla fedeltà verso se stessi.
Oltre le perversioni della moda.
Oltre le ansie dell’apparire.

Sì, però in effetti fa proprio schifo.

 

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