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Era mio padre

Roberto Mondani era mio padre

Certe sere la favola della buonanotte è quella in cui tu appari di fronte a me mentre bevo un caffè al bar o mi provo una maglia da Zara o assaporo distillati di questa quotidianità ormai abituata alla tua assenza, e mi dici “era tutta una finta, non me ne sono mai andato“. Sono certa che mi riconosceresti dagli occhi, forse l’unica cosa che non è mai cambiata da quando indossavo il grembiule di scuola, e io ti riconoscerei dal viso cui le rughe non avrebbero strappato la sconcertante somiglianza che ha con il mio.

Essere un’adulta non rende più morbido lo schianto quando ritorno alla realtà in cui vivo, quella che mi ha privato troppo presto della possibilità di scontrarmi, confrontarmi, innamorarmi del mio babbo come tutte le altre bambine.

Vorrei avere un’enciclopedia di quello che sei stato per portarla sempre con me e trovare, lungo il mio cammino, i punti di incontro e divergenza; capire dove i cromosomi mi portino più vicino a te e dove, invece, mi facciano convergere verso mamma. Vorrei aggiungere altro a ciò che già so: per esempio che il mio naso è lo stesso che avevi tu e che ha la nonna; che i Rayban cadono su tutti e tre i nasi nello stesso identico modo; che poco sopra quei nasi ci sono occhi che si illuminano quando scorgono una moto all’orizzonte e orecchie che non possono sopportare una giornata senza musica. So anche che, invece, lo sguardo che io e Andrea abbiamo quando siamo arrabbiati è il clone esatto di quello di mamma.

Tutto sommato considerarmi come il prodotto della vostra equazione è l’unico modo che ho trovato, in 28 anni, per apprezzare il bagaglio di carne e pensieri che mi porto appresso; se mi concentro su me stessa pensandomi come la catena di DNA uscita dalla fortunata combinazione di un geometra musicista e di un’insegnante elementare bibliofila, capisco di portare con me un pezzo di ognuno di voi ogni giorno, e allora tutto ha senso, tutto è esattamente come deve essere.

Stamattina ho pensato che febbraio, in Toscana, è un mese molto diverso rispetto a qua. È un mese inondato da un sole languido, che accende di rosso i miei capelli e che porta con sé il profumo del vento e la luce febbrile di un cielo azzurro sempre terso – colori, odori, sinestesie che qua adesso non esistono e che all’avvicinarsi di questa data ho sentito mancarmi, come se in tutti questi anni mi fossero serviti a incorniciare un momento in cui, periodicamente, decido di rallentare il passo e fermarmi a guardarmi dentro. Curioso che il cielo padano abbia deciso proprio oggi di cambiare i suoi piani di grigiore e assumere il blu di cui ho bisogno per ricordarti e confermare al mio cuore il bagaglio che porterà con sé finché avrà battiti da elargire.

Un altro anno senza di te è passato, un altro anno senza dimenticarti.
I manoscritti non bruciano. Ce l’ho scritto nel sangue, ancor prima che sulla pelle.

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  1. dmsx says:

    Alla fine Milano. La mia e una piccola azienda, all’esterno puo sembrare gigantesca, ma ha un fatturato ridicolo anche se in costante, leggera crescita. I mezzi sono limitati, anche perche mio padre mi ha lasciato un mare di debiti. E stato un genio, ma dal punto di vista economico e finanziario era un disastro. Quando ero piccolo pensava di temprarmi il carattere con un’educazione molto dura. Ma avere un’istitutrice non e servito a nulla, perche sono diventato un ribelle a prescindere.

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